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F O I B E

Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, concede anche un riconoscimento ai congiunti degli infoibati. Cosa sono state realmente le foibe? Cosa è accaduto nella terra di Confine? Quale è la verità sul caso foibe? Esiste un caso foibe? Esiste un processo di revisionismo storico? Di tutto ciò parleremo con la giornalista e studiosa Claudia Cernigoi.

1) Come posso presentarti?

Sono una giornalista che dopo avere indagato sulla strategia della tensione (neofascismo, stragismo, “misteri d’Italia”), ad un certo punto ha iniziato a dedicarsi alla ricerca storica sulla seconda guerra mondiale, Resistenza, collaborazionismo e poi, di conseguenza, anche le “foibe”. In effetti sono diventata “famosa” proprio per via delle mie ricerche sulle foibe, anche se, voglio precisare, non ho studiato solo le foibe.

2) Il giorno del ricordo, così come strutturato, rientra nell'intento del processo di revisionismo storico? Come si può definire il revisionismo storico?

Revisionismo storico, di per se stesso, non dovrebbe avere un significato negativo. Ovvio che se si scoprono nuovi documenti che permettono di leggere in ottica diversa fatti prima interpretati in un certo modo, “rivedere” le interpretazioni storiche è doveroso e non negativo. Il fatto è che una parte della storiografia, che più che storia fa politica, anzi, propaganda politica, ad un certo punto ha deciso di dimostrare, storicamente, la negatività politica del movimento di liberazione comunista e non nazionalista, e pertanto si è iniziato a leggere i fatti storici in un’ottica che storica non è, ma politica. Ne consegue che si è iniziato anche a dare valutazioni politiche (e morali, cosa per me inaccettabile quando si parla di storia) sugli eventi storici. Faccio un esempio: quando si condannano le esecuzioni (sommarie o no) di oppositori politici da parte delle forze della Resistenza, senza considerare che tali eventi si sono svolti durante una guerra mondiale che causò milioni di morti, la maggior parte civili, si perde di vista ogni ricostruzione storica, pretendendo di valutare con i nostri valori morali del tempo di pace (“voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case”, scriveva Primo Levi) le azioni avvenute in un periodo in cui, come diceva una canzone partigiana “pietà l’è morta”. Dove la guerra non l’avevano iniziata i partigiani, né i comunisti, né, dalle nostre parti, la Jugoslavia, ma l’aveva iniziata il nazifascismo. Non ci fosse stato il nazifascismo a dichiarare guerra al mondo intero, gli aggrediti non si sarebbero difesi e non avrebbero avuto bisogno di ammazzare nessuno. Non riconoscere questo semplice dato di fatto è revisionismo storico in senso negativo.

Quanto al giorno del ricordo, è una ricorrenza voluta da una lobby trasversale che vuole negare i crimini fascisti cercando di trasmettere l’idea che la Resistenza, soprattutto quella jugoslava, è stata una cosa negativa e non una lotta popolare di liberazione.

3) Cosa sono state realmente le foibe? Numeri reali di infoibati?

Gli storici Pupo e Spazzali scrivono che...Quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale.

Questo è un altro esempio di revisionismo storico in senso negativo. Come può uno storico serio parlare di “significato simbolico e non letterale” relativamente a dei fatti storici? Se una persona è stata fucilata non è stata infoibata, e quindi perché parlarne in modo “simbolico” se non per creare confusione in chi cerca di comprendere questi eventi?

Sintetizzando, possiamo distinguere due periodi storici. Il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 43, in Istria, quando una sorta di jacquerie seguita al tracollo dell’esercito italiano causò circa 200 morti (effettivamente gettati nelle foibe), che coinvolsero esponenti del fascismo, vittime di rese dei conti e di vendette personali. Considerando che fonti nazifasciste sostennero che per ripristinare “l’ordine” in Istria dopo l’8 settembre vi furono circa 10.000 morti con devastazione di villaggi e campagne, esce spontanea la domanda di quale fu il vero martirio del popolo istriano.

Invece nel maggio 1945 a Gorizia, Trieste e Fiume, dove l’Esercito jugoslavo (che era un esercito alleato e non “cobelligerante” come era l’esercito del Sud italiano) prese il controllo del territorio, vi furono moltissimi arresti di membri delle forze armate (che, ricordiamo, essendo il Litorale Adriatico staccato addirittura dalla Repubblica di Salò per essere annesso al Reich germanico, avevano giurato fedeltà direttamente a Hitler) e di civili collaborazionisti. In tutto scomparvero da Trieste meno di 500 persone, 550 da Gorizia, circa 300 da Fiume. La maggior parte furono militari internati nei campi di prigionia e morti di malattia; da Gorizia e Trieste circa 200 furono i prigionieri condotti a Lubiana o nei posti ove avevano operato e processati per crimini di guerra (tra essi rastrellatori, torturatori, l’ex prefetto di Zara Serrentino che come Presidente del Tribunale speciale per la Dalmazia aveva comminato moltissime condanne a morte di antifascisti…); infine vi furono le vittime di esecuzioni sommarie e vendette personali, ma dalle “foibe” triestine furono riesumate in tutto una cinquantina di salme, 18 delle quali dall’abisso Plutone, dove gli assassini erano criminali comuni e membri della Decima Mas infiltrati nella Guardia del popolo, che a causa di ciò furono arrestati dalle autorità jugoslave (che li condannarono a varie pene). Per questo motivo io non ritengo storicamente valido il concetto di “foibe”, perché in esso vi è una tale diversità di casistiche da non poter rappresentare un “fenomeno” a sé stante, se si esclude la teoria che va per la maggiore sull’argomento, e cioè che queste furono le “vittime” della “ferocia slavo comunista”, teoria che non ha alcun valore storiografico.

4) Cosa voleva dire essere partigiani a Trieste? Cosa voleva dire vivere le persecuzioni nazi-fasciste in Città?

I partigiani a Trieste facevano parte dell’organizzazione Unità Operaia-Delavska Enotnost e lavoravano in clandestinità nelle fabbriche o facendo opera di propaganda e qualche azione specifica in città. Non si sa molto del loro lavoro, purtroppo, su questo la ricerca storica è stata carente. Le repressioni furono ferocissime, coinvolsero non solo i militanti ma anche i loro familiari, le persone arrestate venivano torturate con ferocia, inviate nei campi germanici, uccise in Risiera, molti morivano cercando di scappare o sotto le torture. Cito soltanto le esecuzioni di maggiore entità avvenute nel 1944: 71 ostaggi fucilati ad Opicina il 3 aprile, 51 impiccati il 23 aprile nell’attuale Conservatorio, 11 impiccati a Prosecco il 29 maggio, 19 fucilati ad Opicina il 15 settembre, i 5 membri della missione alleata Molina il 21 settembre…

5) Perchè è importante contestualizzare gli eventi nella questione foibe?

A questa domanda penso di avere già in parte risposto prima. Quando, in sede di dibattito pubblico, il professor Raoul Pupo, alla mia affermazione che parte del CVL di Trieste fu arrestata dagli Jugoslavi perché si erano rifiutati di consegnare loro le armi, come prevedevano gli accordi firmati dal CLNAI con gli Alleati (e la Jugoslavia era un Paese alleato, come Usa e Gran Bretagna), asserì che io ragiono come nel 1945, penso che in realtà mi abbia fatto un complimento come ricercatrice, al di là delle sue reali intenzioni. Per capire cosa accadeva nel 1945 dobbiamo considerare la situazione del 1945, cioè il fatto che l’Europa intera, e non solo Trieste, usciva da una guerra mondiale che aveva causato stragi, fame, distruzione e disperazione; che nella nostra zona le autorità italiane avevano cercato di annullare le minoranze slovena e croata, non solo impedendo loro di parlare nella propria lingua, ma anche con la violenza, bruciando villaggi e deportando civili, vecchi, donne e bambini, che per la maggior parte morirono di stenti nei campi di prigionia come Arbe e Gonars. Ed in una situazione simile a me viene in mente la poesia di Brecht, “noi che volevamo apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili”.

6) La visita prevista di Alemanno alle foibe di Basovizza, può essere considerata provocatoria verso la Resistenza ?

Non credo particolarmente. È da anni che tutti (dalle istituzioni statali e locali ai naziskin di varia estrazione, a Padania Cristiana, alle organizzazioni degli esuli…) vengono in pellegrinaggio sulla foiba di Basovizza. Escludendo le istituzioni, che semplicemente hanno fatto propria la teoria degli “opposti estremismi”, cioè vi sono stati sia i crimini dei nazifascisti che quelli dei partigiani (“accostamento aberrante”, lo definì più di trent’anni fa il professor Miccoli dell’Università di Trieste), in genere si tratta di un segno fideista di anticomunismo e di apologia del fascismo, con dovizia di saluti romani e grida “camerati presenti”. Alemanno non può certamente fare peggio di questi qua.

7) Quanto possono essere educative o diseducative le visite scolaresche alle foibe, che puntualmente ogni anno vengono organizzate per e nel Giorno del ricordo?

Sarebbero educative se si contestualizzasse e si spiegasse la reale entità del “fenomeno”. Ma dato che la visita alla foiba di Basovizza è vista normalmente come il contraltare a quella alla Risiera di San Sabba, ciò che rimane ai ragazzi è che vi furono appunto i due “opposti estremismi”, le due “ideologie” che provocarono i drammi in Europa, con il sottinteso elogio della “zona grigia”, del qualunquismo di coloro che non si schierarono e lasciarono che gli altri prendessero le decisioni (e le armi) aspettando che qualcuno vincesse.

Così come sono, in effetti, sono molto diseducative.

8) Giungono voci di una tua nuova opera...puoi dare qualche anticipazione?

Sì, si tratta di uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS, la cosiddetta “banda Collotti”, nel quale oltre a raccontare l’operato di questo corpo di repressione nazifascista, finisco col parlare della Resistenza nella nostra zona ed anche delle ripercussioni che nel dopoguerra ebbero questi eventi.

Marco Barone fonte: http://baronemarco.blogspot.com/2012/02/foibe-la-verita-compromessa-intervista.htmlNote: Foto tratta da Nuova Alabarda: Esplorazione speleologica 1943 (foto Carlos Bordon)

si autorizza la diffusione ed il relativo trattamento dei dati personali.
m.b




SOLIDARIETA' DELL'ANPI DI CHIVASSO AI ROM DELLA "CONTINASSA"

EMARGINAZIONE, DISINFORMAZIONE E RAZZISMO

E’ dei giorni scorsi la fiaccolata di solidarietà organizzata alle Vallette di Torino dopo la denuncia di un falso stupro da parte di una ragazza, conclusasi vergognosamente con l'incendio dell'insediamento di nomadi alla cascina Continassa da dove sarebbero provenuti i responsabili di una violenza mai avvenuta.
L’Anpi è un’associazione che ha come fini istitutivi la memoria della Resistenza e la difesa di quella Costituzione che dalla Resistenza nacque. Non compete quindi alla sezione “B. Bradac” di Chivasso stigmatizzare le persone e in particolare i politici locali che ricoprono incarichi istituzionali per la partecipazione alla manifestazione razzista contro il campo rom della Continassa svoltasi dietro l’agghiacciante striscione “Adesso basta! Ripuliamo la Continassa!” e sfociata in un vero e proprio pogrom. Ciascuno dei partecipanti, e coloro che come Paola Bragantini ricoprono cariche pubbliche a maggior ragione, risponderà di questa scelta sul piano morale, civile e politico.  Ciascuno farà le proprie riflessioni e chiarirà, se vorrà e potrà, la propria posizione e le specifiche ragioni di tale partecipazione.
Allo scopo di offrire uno spunto per questa riflessione ci permettiamo di suggerire di leggere con attenzione il seguente brano dell’articolo di Marco Revelli La metamorfosi padana nasce dal senso perduto dell’esistenza pubblicato sul “Manifesto” del 22 febbraio 2007 su fatti simili  allora accaduti a Opera, alle porte di Milano:
“I 60 rom che erano stati ospitati nel campo provvisorio di Opera, alle porte di Milano, “stanchi di insulti”, se ne sono andati via, e non vi torneranno più. “E’ un modo per proteggere le famiglie, non ne possono più di attacchi verbali così violenti”, ha dichiarato don Virginio Colmegna, che il 21 dicembre, dopo lo sgombero forzato del campo di via Ripamonti, , ve li aveva portati, d’accordo con la giunta comunale di centrosinistra.
Era nato allora […] un comitato “spontaneo” (in realtà animato da attivisti di AN e della Lega) che aveva subito dato vita ad un presidio permanente.  E a una mobilitazione carica di aggressività e di violenza, che nella stessa notte aveva provocato un assalto al campo con l’incendio delle tende in cui dormivano le famiglie rom con ben 30 bambini, protraendosi poi tra momenti conviviali, bivacchi diurni e notturni, e una continua, sistematica pratica dell0’aggressione verbali con insulti, sputi, minacce ai nomadi e ai volontari  che ogni mattina accompagnavano i bambini a scuola. […]
Questo è in fondo il risvolto antropologico dell’attuale “questione settentrionale”. Questo inabissarsi della società dentro l’accelerare dell’economia, che mette in gioco gli eterni imprenditori politici disposti a quotare alla propria borsa le vite non vissute e il conseguente rancore dei propri simili.  Già una volta gli “zingari” sono stati vittime di una tale sindrome della nostra cattiva modernità, passando silenziosamente per il camino. Mettiamoci al riparo, finché siamo in tempo”.
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Il Comitato Nazionale dell’ANPI, 
a fronte dei gravissimi fatti accaduti sabato scorso a Roma; nell’esprimere la più sentita solidarietà a tutti coloro - e in particolare ai giovani - a cui è stato impedito di esercitare liberamente e pacificamente un diritto costituzionale, tanto più rilevante in quanto contemporaneamente veniva esercitato in tutto il mondo (e senza incidenti), ed a tutti coloro che hanno subito danni dalla violenza di un gruppo di estremisti reazionari;
condanna, nel modo più fermo, il comportamento di coloro che sono scesi in campo solo per praticare la violenza ed impedire una civile manifestazione di protesta, producendo danni gravissimi a persone e cose;

ribadisce che è compito dello Stato garantire la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di riunione, per cui non ha senso rispondere ad un atto di odiosa violenza con divieti che, prima ed invece di colpire i violenti, finiscono per limitare i diritti dei cittadini, al di là e al di fuori della Carta Costituzionale;

depreca che una incomprensibile gestione dell’ordine pubblico non solo non sia riuscita a prevenire quanto accaduto ma addirittura abbia esposto la città di Roma, i manifestanti pacifici (che peraltro non hanno potuto svolgere la loro manifestazione) e gli stessi agenti di polizia e carabinieri a subire violenze ed attacchi, non essendo preparati e attrezzati adeguatamente per respingerli;

si oppone fermamente ad ogni ipotesi di interventi polizieschi ed autoritari sulla scia delle emozioni suscitate dalla sciagurata giornata di Roma; non è con leggi eccezionali che si reprime la violenza, ma applicando rigorosamente la normativa vigente e prevenendo ogni tentativo di violenza;

esprime seria preoccupazione per i rigurgiti di autoritarismo e di fascismo che si affacciano continuamente, in varie forme, nel nostro Paese approfittando di un “clima” ritenuto favorevole e della disgregazione della vita politica e istituzionale del nostro Paese;

si appella alla coscienza civile ed alla sensibilità di tutti i cittadini perché rispondano alla violenza con le armi della democrazia, vale a dire con l’esercizio dei fondamentali diritti civili e politici, la partecipazione, la manifestazione convinta di una decisa volontà di svolta e di cambiamento, verso un sistema politico e istituzionale rispondente finalmente ai principi contenuti nella Costituzione;

ribadisce che solo l’unità di tutte le forze democratiche può salvare il nostro Paese dal degrado civile, sociale e politico in cui è precipitato e che ormai è divenuto intollerabile per ogni cittadino consapevole dei diritti inalienabili e degli stessi fondamenti della democrazia.

Roma, 19 ottobre 2011

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Il 18 di giugno è fissata l'intitolazione a Umberto II di Savoia 
di una piazzetta nel Capoluogo di Casalborgone. 
Il prefetto di Torino ha già dichiarato "irricevibile" la richiesta, in quanto la motivazione dell'intitolazione è basata sul fatto che Umberto II non avrebbe contestato
l'esito del referendum "monarchia o repubblica" del 1946, nonostante che i brogli a favore della repubblica fossero stati tali e tanti da rovesciare il risultato.
Chiaramente il prefetto non poteva e non può accogliere questa motivazione.
Sarebbe come dire che la Repubblica italiana è uno stato illegittimo. Ma, come ANPI di Chivasso, crediamo vi siano altre ragioni per opporsi a questa intitolazione e alle modalità così cone possiamo apprenderle dagli organi di informazione (cfr. "La Stampa", 2 giugno 2011, p. 64). In sintesi:

1) Umberto II condivise nei fatti – tacendo pubblicamente – tutte le scelte di suo padre re Vittorio Emanuele III, compresa la fuga da Roma e ancor prima le infami leggi razziali. Non si può dare dignità di atto di responsabilità politica all'ennesima prova del suo contrario. Per un nobile, che dovrebbe avere alto il senso dell'onore, questa silenziosa connivenza con il fascismo che pure non amava dovrebbe essere motivo di particolare vergogna. Pertanto, anche cambiando la motivazione, l'intitolazione a Umberto II resta inspiegabile, tanto più nell'anno in cui si celebra il centocinquantesimo dell'Unità, che alla fine del fascismo fu semmai garantita dalla responsabilità dei partiti politici che confluivano nel Comitato di Liberazione nazionale. A meno che sia sufficiente non fare in prima persona il male per vedersi riconosciuti pubblici onori, non si capisce perché intitolare una piazza a Umberto II. Non è un caso che questa sarebbe la prima in Italia.

2) Come danno prova tutte le città e i paesi d'Italia,  In tutto il periodo dell'Italia repubblicana nessuno ha mai pensato sul serio di cambiare la toponomastica cancellando da vie, corsi e piazze i nomi dei Savoia. Il Capoluogo di Casalborgone non fa eccezione.  Ed è stato giusto così. Ma pretendere che una Repubblica tributi onori a monarchi in fuga che avevamo messo in ginocchio l'Italia è una evidente provocazione. La prossima volta toccherà anche a Vittorio Emanuele III: una motivazione in fondo si può sempre trovare.

3) Quanto alla cerimonia, si prevede la presenza di Vittorio Emanuele di Savoia. Un presenza come minimo eticamente  inopportuna, viste le numerose vicende giudiziarie che lo hanno riguardato, prima fra tutte quella relativa all'uccisione del giovane turista tedesco Dirk Hamer. Di queste "altezze reali" non si può dire altrettanto dal punto di vista morale.

Tutto questo considerato, l'ANPI di Chivasso chiede con forza al Prefetto di Torino di fare tutto quanto è in suo potere per la cancellazione della parte pubblica della cerimonia, ovvero per quanto attiene all'intitolazione della piazzetta a Umberto II di Savoia e auspica la mobilitazione in tal senso di tutti i partiti e le associazioni democratiche dell'Italia repubblicana.

Viva l'Italia, viva la Repubblica




Ci hanno riprovato ma ...   Poche settimane fa il sindaco uscente Matola aveva rifiutato all’ANPI una piazza per il concerto del 25 aprile.E l’anno scorso aveva negato il patrocinio alla conferenza sulle nuove destre radicali. Ha aperto invece generosamente le porte del Teatrino civico agli spettacoli di un autore (il Comune è tutt’altro che trasparente) con un’opera di Giuseppe Puppo? Che a Chivasso conosciamo bene come autore di un saggio nel quale invita i giovani disorientati a ritrovare i “valori fondanti della politica” negli intellettuali che nella seconda guerra mondiale si schierarono apertamente con il nazismo e il fascismo. Lo stesso autore che nel 2009 fece recitare davanti agli studenti chivassesi il «Quarto d’ora di poesia della X Mas» di Filippo Tommaso Marinetti.

Allo scopo di offrire uno spunto per questa riflessione ci permettiamo di suggerire di leggere con attenzione il seguente brano dell’articolo di Marco Revelli La metamorfosi padana nasce dal senso perduto dell’esistenza pubblicato sul “Manifesto” del 22 febbraio 2007 su fatti simili ma molto meno gravi allora accaduti a Opera, alle porte di Milano:

“I 60 rom che erano stati ospitati nel campo provvisorio di Opera, alle porte di Milano, “stanchi di insulti”, se ne sono andati via, e non vi torneranno più. “E’ un modo per proteggere le famiglie, non ne possono più di attacchi verbali così violenti”, ha dichiarato don Virginio Colmegna, che il 21 dicembre, dopo lo sgombero forzato del campo di via Ripamonti, , ve li aveva portati, d’accordo con la giunta comunale di centrosinistra.

Era nato allora […] un comitato “spontaneo” (in realtà animato da attivisti di AN e della Lega) che aveva subito dato vita ad un presidio permanente. E a una mobilitazione carica di aggressività e di violenza, che nella stessa notte aveva provocato un assalto al campo con l’incendio delle tende in cui dormivano le famiglie rom con ben 30 bambini, protraendosi poi tra momenti conviviali, bivacchi diurni e notturni, e una continua, sistematica pratica dell0’aggressione verbali con insulti, sputi, minacce ai nomadi e ai volontari che ogni mattina accompagnavano i bambini a scuola. […]

Questo è in fondo il risvolto antropologico dell’attuale “questione settentrionale”. Questo inabissarsi della società dentro l’accelerare dell’economia, che mette in gioco gli eterni imprenditori politici disposti a quotare alla propria borsa le vite non vissute e il conseguente rancore dei propri simili. Già una volta gli “zingari” sono stati vittime di una tale sindrome della nostra cattiva modernità, passando silenziosamente per il camino. Mettiamoci al riparo, finché siamo in tempo”.
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Liborio La Mattina   
Il comunicato lo pubblico, ma mi permetto di dissentire. Sui contenuti e anche un po' sulla casuale coincidenza temporale del Presidio con l'appuntamento elettorale. La confusione non aiuta certo la "causa" se è davvero la "causa" il motivo del contendere. Vero è che dai partigiani (sempre che all'ANPI ce ne siano ancora di iscritti) ci si aspetterebbe una più oculata gestione delle proprie bandiere.

(1) Caro Direttore,
permetta anche a me, ma credo di poter parlare a nome dell'ANPI chivassese, di dissentire dalla sua postilla al "comunicato" in oggetto (un comunicato ancora in via di definizione che non avrebbe dovuto pervenire al giornale, ma che comunque non disconosco). Dissento nella forma e nella sostanza della sua noticina. Nella forma, perché un comunicato non è una lettera, è uno spazio d'informazione, non di dibattito: si può legittimamente non pubblicare, ma il commentino del Direttore è fuori luogo.
La sostanza. Il concerto avrebbe dovuto svolgersi due settimane fa, senza tirare la volata a nessuno. Per le eventuali coincidenze con gli appuntamenti elettorali che tanto la preoccupano chieda dunque al Sindaco che ha combinato il pasticcio, per usare un eufemismo e non fare peccato pensando male, secondo il ben noto aforisma di Andreotti. Legga con più attenzione i comunicati che pubblica: in questo che pubblica dissentendo viene appunto spiegato come sono andate le cose, perché si è deciso di fare un presidio. Tra l'altro, l'antifascismo è scritto nella Costituzione, che dovrebbe essere quel patto sociale in cui tutti, cittadini e partiti, si riconoscono. Dovrebbe essere un terreno comune, prima e fuori di qualsiasi contesa elettorale. Ecco perché la "morale" che fa all'ANPI e il suo sarcasmo appaiono veramente dozzinali.
Ma soprattutto fa un torto alla sua intelligenza e alla sua cultura l'osservazione circa il fatto che all'ANPI i partigiani iscritti siano ormai pochissimi. Le do una notizia bomba, di quelle che piacciono a lei: presto anche quei pochissimi non ci saranno più. Basta saper far di conto per rendersi conto, appunto, di questo calo di iscrizioni. Ciò che tuttavia non muore sono le loro idee: l'ANPI si sta rinnovando proprio perché intende trasmettere alle giovani generazioni il loro patrimonio ideale. Andiamo, direttore, non dovrebbe essere difficile da capire!
Ma non importa. Una stupidaggine può sfuggire a tutti, e sicuramente fare del sarcasmo sui partigiani iscritti oggi all'ANPI rientra in questo caso. Chieda scusa, Direttore, e rimarrà nei confini di questa fattispecie, dell'idiozia sfuggita per caso, o per stanchezza. Diversamente, dovremmo pensare che si tratta di un'affezione più grave, che tende a cronicizzarsi.
Ermanno Vitale


(2) Caro Liborio:
non mi è piaciuta x niente il tuo orribile commento alla comunicazione dell'ANPI relativa al presidio antifascista di sabato 14 maggio.
Dalle cose che hai scritto si evince che tu dell'ANPI non ne sai proprio niente. Eppure sarebbe facile capirne di piu': basterebbe visitare il sito dell'ANPI di Chivasso. Se lo facessi, ti renderesti conto che l'ANPI del 2011 (ma questo processo è in marcia da diversi anni) non è un'associazione di reduci, con tutto il rispetto che io possa portare per le Associazioni di reduci. Del resto la matematica dovrebbe venirti in soccorso. Il piu' giovane dei partigiani, di coloro cioe' che hanno contribuito in prima persona a liberare l'Italia dai fasci ed a scrivere una Costituzione che, fra le tante cose, consente anche a te di poter scrivere liberamnete su un giornale, al giorno d'oggi non ha meno di 84-85 anni di età. Per cui, sempre secondo la tua "logica", entro pochi anni l'ANPI dovrebbe chiudere baracca e burattini per mancanza di iscritti?
L'ANPI in questi anni si è trasformata ed ancora si trasformera'. Sono aumentati notevolmente gli iscritti, sia a livello chivassese che a livello nazionale. Ma non ci sono qui i "pacchi di tessere" che negli anni sono stati "gestiti" in alcuni casi da partiti senza scrupoli. Qui stiamo parlando di iscrizioni vere, di gente che ha capito che senza un reale attaccamento alle proprie radici domocratiche nate da QUELLA Resistenza, non si va da nessuna parte.
Sempre nel tuo commento, critichi, se ho capito bene, la decisione di effettuare un presidio il 14 maggio. E perche'? Che cosa hanno a che fare le elezioni?
L'ANPI non è un partito ed ha il diritto di chiedere piazze per manifestare il proprio pensiero dove e quando vuole, in qualsiasi giorno dell'anno, se lo ritiene. Come, del resto, altre Associazioni. Mi viene da pensare che tu evidentemente hai gioito quando, una quindicina di giorni fa, il tuo amico Matola  ha negato la piazza per un concerto musicale antifascista all'ANPI. Io non ho gioito affatto, ed ho considerato molto grave che ancora una volta un sindaco metta i bastoni in mezzo alle ruote di chi vuole parlare di Resistenza e ricordare degnamente i Partigiani caduti per la libertà di tutti, anche della tua e del tuo amico Matola.
Frediano Dutto
  Chivasso antifascista…è ora di far sentire la tua voce!!
SABATO 14 MAGGIO  ORE 15,00  Piazza della Repubblica
E’ passata una settimana da sabato 30 aprile 2011, una settimana dal giorno in cui l’Anpi è stata meschinamente presa in giro dal Sindaco di Chivasso, una settimana dalla data in cui avrebbe dovuto svolgersi un innocuo concerto in memoria del giorno della Liberazione.
Non so se tutti siano a conoscenza di come sono andate realmente le cose, ed è difficile per noi raccontare le corse che ci hanno fatto fare, i problemi  burocratici, le sparizioni misteriose dei fogli, i rimpalli tra gli uffici, il sindaco che con una mano promette e con l’altra nega, le telefonate personali per risolvere problemi che sarebbero di competenza degli uffici comunali e non certo del suo numero privato. Per quasi un mese abbiamo tentato di organizzare un semplice concerto, e per tutto questo tempo siamo stati presi in giro dal Sindaco in persona, che, a quanto pare, non gradiva avere la piazza piena di antifascisti la settimana prima delle elezioni.
Il sindaco di Chivasso nega la piazza all’Anpi per motivi ideologici.
Ciò che è successo è GRAVE, GRAVISSIMO.
 A Chivasso il Sindaco decide chi può o non può parlare,e, anche se al giorno d’oggi  tutte le nefandezze sono state sdoganate da un Governo senza vergogna , noi dobbiamo far sentire che questo non va bene, che non si può fare, che è questo il fascismo a cui dobbiamo ribellarci.
E’ il fascismo subdolo delle amministrazioni, è la coercizione delle idee, è il divieto di poter  esprimere pensieri contrari, è una deriva inarrestabile e gravissima a cui TUTTI coloro che si dichiarano antifascisti devono rispondere.
Ciò che è successo non è un problema dell’Anpi, ma un problema di tutti, perché questo è l’inizio, e la continuazione l’abbiamo già vista… vogliamo dimenticarlo? Mai!!!
Ed è per questo che oggi chiediamo una partecipazione attiva, chiediamo a tutti coloro che sbandierano una coscienza antifascista di venire a portarla in piazza, in quest’occasione unica in cui Chivasso può far sentire una voce diversa.
Questa volta non sarà sufficiente protestare via internet, questa volta ci vogliono i volti, le parole, ci vuole la presenza fisica di tutti!
In queste settimane abbiamo parlato con molte persone, indignate dal comportamento del Sindaco, e a quelle stesse persone, a tutti voi, chiediamo di venire a dire in piazza ciò che avete detto a noi, vi chiediamo di esserci, di non lasciarci soli, di non credere che il problema sia solo nostro.
Ci stiamo provando ancora una volta, perché crediamo possibile che Chivasso torni a farsi sentire, ci stiamo provando perché abbiamo capito la gravità della situazione, ci stiamo provando perché crediamo in una comune coscienza antifascista, ci stiamo provando perché questa volta vogliamo riprenderci una piazza che è di tutti, che è anche nostra, e nostra sarà sabato 14 maggio. 

Ti aspettiamo…la tua voce sarà fondamentale!
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Il sindaco ha negato la piazza del Castello a Chivasso, 
al concerto dei giovani dell'Anpi sabato 30 aprile.
Ha preteso che lo stesso concerto e letture sulla Liberazione si tenessero nella stessa piazza d'Armi  vicino al palco allestito in occasione della festa dei "calabresi"  in concomitanza con il “Folklore in piazza”  con artisti di musica popolare calabrese, soluzione non compatibile che avevamo già scartato in precedenza.
Premesso che si era raggiunto un accordo verbale (telefonico)  venerdì 22/4/2011 tra il sottoscritto e il sindaco Matola per l'utilizzo di Piazza del Castello, essendo le altre piazze tutte occupate e che nelle ore successive formalizzavo la  richiesta all'Ufficio di Protocollo.  Nulla lasciava presagire ad un diniego avvenuto una settimana dopo (venerdì 29/4/2011) quando venivo a conoscenza che non esisteva alcuna autorizzazione in tal senso e per ammissione dello stesso sindaco, contattato immediatamente, non aveva ancora letto la mia richiesta, asserendo che non era possibile l'utilizzo della piazza del Castello senza  esprimere valide motivazioni, se non quella di togliere parte del parcheggo, mi invitava ad un accordo con l'organizzatore della festa calabrese da lui precedentemente sentito. In altre parole i "calabresi" avrebbero dovuto spostare o meglio disdire impegni assunti in precedenza per lasciare a noi lo spazio.  Abbiamo ritenuto inaudita una soluzione del genere, così come il comportamento del primo cittadino che scaricava le proprie responsabilità sugli altri, uffici comunali compresi. Per il rispetto che abbiano nei confronti di chi organizza  degli eventi, mai ci saremo sognati di far loro delle pressioni per spostare iniziative in atto, tantomeno in questa circostanza. Non solleviamo la questione per motivi elettorali, che non centrano nulla con questo problema, ma la stessa si pone in quanto gli spazi della nostra città, riteniamo non siano una prerogativa del sindaco o dell'amministrazione comunale in carica pro tempore,  perchè pensiamo che un problema di questa natura poteva essere risolto da uno degli uffici competenti e non dal primo cittadino a cui spettano doveri e cose da pensare più importanti per la città.
Vinicio Milani
BRUNO MATOLA PRESENTA IL GIOCO DELLE TRE PIAZZE Ovvero COME SI FA’ A PROIBIRE UN CONCERTO SENZA DIRLO
Il nostro caro e simpatico Sindaco Sceriffo ha deciso di intromettersi nell’organizzazione del concerto organizzato dai giovani antifascisti chivassesi e dalla sezione ANPI di Chivasso cambiando e ricambiando per tre volte la piazza nel giro di una settimana. L’ultimo e definitivo spostamento ieri. Spontaneamente ci vengono dei dubbi?
Ma il sindaco ha presente che cambiare continuamente decisione comporta notevoli difficoltà a chi deve organizzare un concerto e quindi di fatto impedisce la serena organizzazione di un evento? O forse ha paura di vedere una piazza piena di persone che vogliono ricordare i Partigiani e la Liberazione dal nazifascismo con un concerto? Persone che non lo voteranno mai e che hanno comunque diritto di vivere a Chivasso?
Sappia che noi non ci arrendiamo, semplicemente non prestiamo il fianco ai suoi giochetti elettorali e smascheriamo il trucco delle tre piazze.
Bruno Matola è un incapace. Non è in grado di gestire una cittadina come Chivasso durante un Sabato pomeriggio di fine Aprile sotto elezioni.
Ha deliri di onnipotenza e veste i panni dello sceriffo che decide in prima persona nella propria contea anche su cose che non gli competono e che non sa fare.
Questi atteggiamenti danneggiano i cittadini, per cui ora formalmente chiediamo al Sindaco di non presentarsi neanche alle prossime elezioni in quanto non è in grado di amministrare. Il CONCERTO PER LA LIBERAZIONE è quindi rimandato in data da destinarsi e questa volta dall’inizio denunceremo orari e indirizzo pubblicamente e vediamo se il sindaco ha ancora intenzione di vietarcelo o se ha altri trucchi nel cappell.
Giovani Antifascisti
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Interventi di Milani e Vitale
sulla delibera di Casalborgone

Che senso ha oggi intitolare una piazza a re Umberto II di Savoia se non quello di guadagnarsi visibilità con qualche passaggio sui giornali? O forse viene preso a pretesto il 150° anniversario dell'unità d'Italia per fare della provocazione? Ci spieghino lor signori cosa ha fatto questo Savoia di veramente utile per questo paese o per la nostra nazione. Se guardiamo veramente indietro c’è da vergognarsi. Chi fu a volere il fascismo, a favorirne l'ascesa, a sostenerlo per un ventennio fino alla tragedia della seconda guerra mondiale, dove l'Italia partecipò al conflitto in condizioni di totale impreparazione militare, solo per ottenere quei mille morti necessari a “sedersi al tavolo dei vincitori”? E cosa dire sul complotto, il tradimento, la diserzione e la fuga vergognosa dall’Italia. Hanno mai, i Savoia, compiuto una scelta limpida, dignitosa e decente?
Penso che Casalborgone meriti di più e senza sforzarsi troppo e senza andare lontano,  può trovare un altro nome, forse meno illustre e meno blasonato ma certamente più degno di essere nominato a comparire sulla targa che dovrebbe intitolare quel tratto di strada o piazzetta che sia. Me ne viene uno: Eligio Battù.  Un uomo che  aveva scelto la lotta partigiana e che aveva vissuto, prima da “ribelle” e poi con dignità senza perdere di vista i veri valori della vita e della Costituzione repubblicana, nata anche con il suo piccolo contributo.
Vinicio Milani




Pare che in occasione del 150° dell'unità d'Italia la giunta del Comune di Casalborgone ne abbia fatta un'altra delle sue. Ha pensato bene di accogliere la proposta di un nostalgico relativa all'intitolazione di una piazza ad Umberto II di Savoia, più noto come "re di maggio". La motivazione, in sintesi, è che, nonostante tutti sapessero che il referendum del 2 giugno 1946 era stato "taroccato" (questa, alla lettera, l'espressione fatta propria dalla Giunta: ma ogni botte dà il vino che ha) a favore della Repubblica, l'ultimo re sabaudo preferì l'esilio portoghese per evitare lo scontro senza quartiere tra monarchici e repubblicani. Insomma, Umberto II meriterebbe l'intitolazione in quanto "eroe mite" della pacificazione nazionale.
Chiunque capisce che assumere questa motivazione, anziché dichiararla irricevibile, equivale a delegittimare se stessi: se la repubblica è nata da un imbroglio, tutte le sue istituzioni centrali e periferiche soffrono di questo vizio d'origine, compresa l'istituzione "comune di Casalborgone". La cascata di conseguenze destabilizzanti è pari all'irresponsabilità di questa delibera. Ma siano almeno coerenti: se credono veramente che le cose stiano così, si dimettano per lottare contro queste istituzioni illegittime, anziché rappresentarle. Non lusinghino il pugno di nostalgici casalborgonesi per raccattare il loro consenso. Auspico che la minoranza in consiglio e tutti i sinceri repubblicani si oppongano in tutte le sedi istituzionali e forme consentite a questa ennesima provocazione.
Naturalmente, in perfetto stile berlusconiano, il sindaco lancia la pietra e nasconde la mano. Si affretta a dire che anche lui non condivide la motivazione, che anche lui è un fervente repubblicano. Ma intanto continua a strizzare l’occhio ai nostalgici, dicendo che la persona è comunque degna del riconoscimento perché ci salvò dalla guerra civile ( che in verità c’era già stata, secondo tutti gli storici più accreditati).. In ogni caso, chi fu davvero Umberto II? La sua accettazione dell'esilio è l'ultimo atto di una biografia politica all'insegna della "paura della propria ombra". Antinazista, e per molti aspetti in disaccordo con Mussolini, non riuscì mai a trasformare questa sua "fronda morale" in azione politica capace di rendere evidente che aveva un'altra idea dell'Italia e del ruolo della monarchia. Quando l'8 novembre 1943 i reali si coprono di vergogna fuggendo nottetempo da Roma per rifugiarsi a Brindisi, Umberto, capendo che questa sarebbe stata probabilmente la fine della monarchia, pensa più volte di rientrare a Roma, ma alla fine non lo fa e fende la folla per imbarcarsi come tutta quell'impresentabile "classe dirigente". Quando il padre Vittorio Emanuele III abdica in suo favore il 9 maggio 1946 sperando in tal modo di separare furbescamente le sue responsabilità da quelle della dinastia, Umberto accetta. Non per senso di responsabilità, ma per, diciamo così, mancanza di personalità. Di fronte al caso del referendum contestato, semplicemente fa ciò che gli aveva sempre dettato la sua indole. E fa bene a fare ciò che fa, ma lo fa non per grandezza d'animo, ma per evidente carenza di virtù politiche. Vi chiedo: è una buona ragione per intitolargli una piazza? Non per nulla nessuno ci aveva mai pensato prima. Suppongo per rispetto – un rispetto che oggi si va perdendo – verso coloro che veramente hanno salvato la dignità della nazione. Se proprio a Casalborgone si desidera metter mano alla toponomastica, sarebbe meglio riconoscere il merito di aver ricostruito e pacificato l'Italia distrutta dal fascismo e da una complice monarchia a uno di coloro che scrissero la nostra Costituzione. Tra questi c'era anche Giorgio La Pira, che quest’amministrazione ha dimostrato di conoscere e di onorare con un recente convegno a lui dedicato. Forse non fu tra i costituenti più significativi, ma perché non dedicare a lui la piazza?. A proposito: quel referendum, in Piemonte, diede una netta vittoria alla repubblica: 57,1 contro 42,9 dei voti validamente espressi. Con queste percentuali oggi qualsiasi politico griderebbe al trionfo, ritenendo non solo di aver vinto, ma di aver messo al tappeto il suo avversario.
Ermanno Vitale